Tre sconfitte e un pareggio nelle prime quattro giornate: è questo quello che resta dopo un mese di campionato. Il Lecce non riesce a ingranare e la sensazione più evidente, al di là dei numeri, è che manchi la qualità necessaria per affrontare il campionato con serenità. Non è solo una questione di atteggiamento o di determinazione: questa squadra fatica a costruire gioco, a trovare alternative e soprattutto a proporre soluzioni offensive credibili.
L’ultima partita di ieri (venerdì 19 settembre, ndr) contro il Cagliari ha confermato un limite strutturale già emerso nelle precedenti uscite: il Lecce crea poco e male, fatica a servire gli attaccanti e spesso si affida a iniziative individuali più che a manovre ragionate. È un campanello d’allarme, perché senza qualità diventa complicato non solo vincere, ma anche restare in partita.

Qualche segnale positivo, però, c’è: Sottil, che prova a dare profondità e vivacità alla manovra; Thiago Gabriel, che ha dimostrato di poter tenere il campo con personalità; e Stulic, un attaccante che, seppur diverso da Krstovic, è capace di offrire movimenti interessanti anche se mai realmente servito a dovere. Ma si tratta di eccezioni in un contesto ancora troppo povero di idee e spunti tecnici.
Ma non è solo una questione tecnica: manca ancora l’amalgama, manca ancora la squadra nel senso più profondo del termine. Si vedono undici giocatori in campo, ma non un collettivo capace di riconoscersi in un’identità comune. E manca soprattutto un leader, quella figura che potesse trascinare nei momenti più bui. Quel ruolo poteva essere di Baschirotto, simbolo di grinta e carisma, ma che al momento non riesce nessuno a incarnare.
Così è difficile, ripeto, perché la Serie A non perdona. Il Lecce deve crescere nella qualità del gioco e nelle scelte, altrimenti rischia di vivere una stagione di sofferenza già scritta. I margini ci sono, il campionato è ancora lungo: il tempo per cambiare passo c’è e non è poco. Servono coraggio nelle scelte e la capacità di trovare nuove certezze tattiche. Perché la storia di questa squadra insegna che, proprio nei momenti di difficoltà, nascono le reazioni più forti, e noi siamo nati per soffrire.