Nella conferenza stampa di ieri il Presidente, Saverio Sticchi Damiani, ha parlato di un “errore di comunicazione”.
Forse, però, le radici di un’illusione sono ben diverse, e risiedono, piuttosto, nell’inconscia voglia di ognuno di noi di trasformare i propri sogni in aspettative.
Galeotta fu l’asticella
Il marketing ci insegna che il paradigma della soddisfazione, in generale, si gioca su una leva molto semplice: quella delle aspettative.
Felicità, delusione o sorpresa nascono sempre da ciò che la nostra mente si anticipa di poter vivere, in base a dei principi che si definisce da sola.
Quando si parla, come ha fatto il Lecce ha fatto un anno fa, di asticella da alzare, si fissa un obiettivo del tutto soggettivo.
I parametri sono tanti, anche se quello più importante è il punto di partenza: il Lecce e la sua storia insegnano umiltà e capacità di restare aggrappati alla realtà per tarare al meglio i propri sogni.
C’è chi si immagina il Lecce in Europa, chi semplicemente il Lecce ancora a lungo in A, chi vorrebbe una squadra che si costruisce i suoi campioni e su di essi basa il suo futuro.
Eppure si parte tutti dalla stessa base: si conosce bene qual è la storia del Lecce, l’impervia strada tracciata nel suo destino, la difficoltà ulteriore che ad ogni stagione si frappone tra sé e i suoi obiettivi.

I sogni son desideri
Non è facile calibrare i sogni di un tifoso in base alla realtà dei fatti.
Se è vero che, in fondo al proprio cuore, in pochi sognavano davvero l’Europa, è anche vero che la terza stagione in A per molti creava il desiderio di vedere in campo una squadra più “pronta” ad affrontarla, evitando patemi dell’ultimo minuto.
Nascono da qui, più che dalla comunicazione, gli errori di interpretazione. Nelle diverse aspettative che una parola semplice, come “asticella”, può generare nel cuore generoso e passionale di una gente che vive e respira Lecce, da sempre, tutto l’anno.
È per questo che poi ognuno proietta sul Lecce i propri sogni più ambiti: non è colpa di nessuno, nessun errore di comunicazione che tenga.
Perché il punto non è in ciò che del Lecce ci viene raccontato.
È in ciò che del Lecce sogniamo noi.
Ed è per questo che, in fondo, l’asticella siamo noi.